Ciao a tutti e benvenuti all’appuntamento con la nostra newsletter. Oggi vorremmo trattare un argomento di fondamentale importanza perchè riguarda, in senso lato, il nostro desiderio di felicità o, quantomeno, quella sensazione di appagamento che tutti noi, in fondo, cerchiamo di ottenere dalla vita. Il discorso è veramente complesso, perchè include aspetti variegati e sui quali a volte è difficile esercitare un effettivo controllo. Molte persone impostano la loro esistenza secondo una determinata credenza, che può essere religiosa, o più genericamente morale e spirituale, ma anche di altri tipi. E’ indubbio che taluni colleghino il loro successo personale alla possibilità di possedere risorse economiche elevate. Per alcune persone circondarsi di numerosi beni materiali e vivere nel lusso diventa un obiettivo primario, su cui regolare la propria condotta e giudicare positivamente il proprio stile di vita. Ma ciò, alla fin fine, conviene veramente o rappresenta soltanto un’illusione? Proprio durante una delle ultime trasmissioni di Radio Liberamente si è parlato della ricchezza, intesa in senso generale. Ciascuno di noi, infatti, ha declinato il tema a suo modo, chi parlando di una ricchezza specificamente economica, chi addentrandosi con coraggio in una dimensione più astratta e spirituale. Probabilmente è proprio verso questa meta che l’uomo deve orientarsi per raggiungere una vera serenità personale. Tutto questo, in fondo, non rappresenta certo una novità, perchè frequentemente si invitano le persone, fin dalla più tenera età, a concentrarsi sulla ricchezza interiore. E’ altrettanto vero, però, che non sempre questo suggerimento viene poi messo in pratica, distratti come siamo da un’ epoca di consumismo e di ambiziosi sogni materialistici.Ci siamo sentiti di fare questo lungo discorso per citare uno studio che verrebbe a confermare perentoriamente come sia del tutto sconveniente investire in beni materiali, a discapito di una maggiore attenzione alle proprie esperienze di vita. In pratica, ci verrebbe da dire, anche la scienza supporta quello che tradizioni spirituali millenarie già da tempo invitano a fare. La notizia, scritta dal dott. Travis Bradberry, è stata pubblicata sull’HuffPostUsa ed è stata tradotto per l’italia da Milena Sanfilippo. In pratica si dice che il dottor Thomas Gilovich, professore di psicologia, ha realizzato uno studio ventennale grazie al quale si è dimostrato come lo stato di felicità procurato dal possesso di beni materiali in fondo sfumi velocemente, lasciando a bocca asciutta. Se è vero, dice il professore, che le cose materiali inizialmente ci entusiasmano, successivamente, secondo un normale principio di adattamento, ci abituiamo alla loro presenza. Più in particolare, oltre a questo processo di “normalizzazione” di beni che solo inizialmente ci procurano felicità, impostare la vita sul possesso rischia di coinvolgerci in un circolo vizioso. L’uomo, infatti, tenderebbe a non accontentarsi mai, poichè le novità acquistate farebbero nascere rapidamente nuove aspettative. Inoltre, altro dato significativo, i beni comperati stimolerebbero al confronto, portandoci ad uno stato di insoddisfazione nel momento in cui qualcuno acquista qualcosa di migliore rispetto al bene posseduto da noi.Molto meglio, sostiene Gilovich con altri ricercatori, puntare maggiormente sulle esperienze, perchè queste procureranno uno stato di felicità più duraturo rispetto ai beni materiali. E attenzione, non si parla per forza di esperienze straordinarie, particolarmente lunghe o speciali. A volte anche quelle più estemporanee possono apportare grande felicità. Questo perchè, sostiene Gilovich, i beni materiali sono comunque cose separate da noi, anche se magari, presi dall’entusiasmo, possiamo in certi momenti pensare che parte della nostra identità sia connessa con essi. Le esperienze vissute sono invece realmente parte di noi e anche i paragoni con gli altri, in questo senso, servono a poco, perchè diventa complesso valutare, ad esempio, il valore relativo di due frammenti di vita vissuta. Il professore autore dello studio specifica anche come mentre l’aspettare un’ esperienza piacevole susciti sentimenti positivi, l’attesa di un oggetto da acquistare provochi impazienza, e non magari quell’emozione e quel divertimento che accompagnano le persone sin dalle prime fasi progettuali di un evento da vivere. Ma forse la riflessione più curiosa tratta dall’articolo preso in esame riguarda proprio l’estemporaneità di certe nostre esperienze. Il fatto che per natura si tratti di momenti passeggeri non ne rappresenta un limite, ma anzi un valore aggiunto, che cresce col trascorrere del tempo. L’opposto capita con l’acquisto di un oggetto che, se deludente, rimane lì innanzi a noi, rammentandoci la nostra insoddisfazione.Noi, sulla base di quanto asserito dalla ricerca presa in esame, ci sentiremmo di aggiungere un suggerimento, consistente nell’ esercitarci, per quanto possibile, nella ricerca consapevole di esperienze che siano realmente significative per noi e per un nostro effettivo godimento. Beninteso, come indicato all’inizio, non si deve trattare per forza di qualcosa di straordinario, ma, quando è possibile, effettuare una ragionata “selezione”di esperienze in cui sentirci coinvolti può rappresentare un auspicabile obiettivo. Tante volte si perde tempo in attività che non rispecchiano noi stessi o che non apportano nessun elemento costruttivo alla nostra vita, generando conseguentemente una sorta di scontentezza, che poi magari si tende a compensare proprio con un consumismo sfrenato o vizi di vario genere. Un’indicazione per scegliere opportunamente esperienze da vivere potrebbe essere banalmente quella di ascoltare i propri bisogni e i propri sogni, cercando, sempre nel limite del possibile e in coerenza con il proprio sistema morale, di soddisfarli compiutamente e con passione.