Ciao a tutti e benvenuti all’appuntamento settimanale con la nostra
newsletter. Oggi ci piacerebbe affrontare un argomento molto importante
per la vita di ciascuno di noi, destinato, a seconda del nostro
atteggiamento verso di esso e delle nostre effettive e realistiche
capacità nel praticarlo quotidianamente, a indirizzare la nostra stessa
esistenza, a renderla più piacevole e soddisfacente. Parleremo infatti
del concetto di autovalutazione, del suo significato, di come muti da
persona a persona la maniera di servirsene e eventualmente di
trasformarlo in un’arma di successo.
Il fattore curioso è che capita
abbastanza frequentemente di conoscere individui magari particolarmente
capaci e produttivi (nell’ambito del lavoro, supponiamo) i quali però,
parlando di sé e delle proprie virtù, sembrano avere un atteggiamento a
volte addirittura denigratorio, tendono in pratica a sottostimarsi,
quasi non riuscissero a giudicare in modo oggettivo le indiscutibili
qualità. E’ vero, in certi casi può trattarsi soltanto di un
atteggiamento umile caratterizzato dalla modestia (modo di fare comunque
ammirevole perché, in fondo, tutti abbiamo limiti ed imperfezioni), ma a
volte non si tratta solo di questo. Pensando ai tempi della scuola, ad
esempio, ad alcuni di voi sarà capitato di osservare come il cosiddetto
“primo della classe” dimostrasse in realtà una considerevole
insicurezza, espressa magari con previsioni pessimistiche sul risultato
del compito in classe appena consegnato al prof (“avrò preso 4”) o, più
in generale, con un’ansia eccessiva prima di interrogazioni e verifiche,
quasi avesse di fatto poca fiducia nelle sue capacità e nella sua
preparazione (perché, diciamocelo, i primi della classe sono sempre
molto preparati, anche troppo!). E, curioso ma vero, in certi casi
accade l’opposto, persone tutto sommato mediocri nel loro campo (scuola o
lavoro, sempre stando ai nostri esempi) sembrano dominati da una sorta
di megalomania, si credono geni, mostrano una sicurezza tendente alla
supponenza, che nessun 4 può scalfire (al massimo, sarà colpa
dell’insegnante che non ha compreso la sua attitudine geniale). Quelli
appena citati sono naturalmente due casi limite, in mezzo ci stanno
tipologie dalle più differenti sfumature, ma in buona sostanza appare
certo che non sempre l’uomo riesce a valutarsi in modo oggettivo,
andando a volte incontro a dei problemi, sia in casi di sovrastima che
sottostima (insicurezze, ansie, paure o, a volte, delusioni ed
incomprensioni). E’ possibile ovviare a tutto ciò? Si può raggiungere
una corretta autovalutazione? Si possono delineare precise casistiche
sull’argomento?
In questo senso abbiamo trovato su Internazionale un
articolo molto interessante, scritto da Annamaria Testa (esperta di
comunicazione) in cui ci si chiede in modo esplicito con quanta
oggettività e precisione siamo realmente in grado di valutare noi
stessi. L’autrice cita subito altri due articoli scritti da lei in tempi
precedenti e che hanno riscosso molto successo (evidentemente
l’argomento riguarda o perlomeno interessa tanti di noi), nei quali si
racconta di due forti errori di autovalutazione (l’autrice parla
testualmente di “doppia faccia dell’errore di autovalutazione”):
l’effetto Dunning Kruger e la sindrome dell’impostore. Come si può
facilmente intuire, nel primo caso siamo innanzi ad una sovrastima delle
personali prestazioni, mentre nel secondo si assiste ad una forte
sottovalutazione delle proprie capacità, con conseguente sentimento di
insicurezza e timore di essere magari “smascherati”. Il dato importante,
sostiene Testa, è che ciascuno di noi tende, in un modo o nell’altro, o
ad essere troppo fiducioso o, al contrario, troppo severo nel processo
di autovalutazione, così come può essere vero, però, che in momenti o
contesti diversi, o su argomenti differenti, le due facce della medaglia
possono coesistere nel medesimo individuo. Lo stesso David Dunning,
scopritore dell’effetto Dunning Kruger, in un’intervista su Vox, ha
precisato come in realtà tutti coloro che compongono quello che lui
definisce il “club Dunning-Kruger” non sono consapevoli di farne parte.
Al contrario, aggiunge Testa, di quanto può succedere a chi è
interessato dalla sindrome dell’impostore, forse, diremmo noi, quella
più interessante da studiare, con tutte le sue importanti implicazioni
psicologiche e, aspetto da non trascurare, il suo influsso non certo
positivo sulla propria esistenza e autostima. Nell’articolo si citano
alcuni elementi curiosi, come la stima che il 70 per cento delle persone
sia stata interessata da questa sindrome almeno una volta nella vita e
come anche personaggi molto importanti ne siano stati coinvolti (ad
esempio, sembrerebbe, il grande Albert Einstein). Dato confortante,
questo, ma non certo inaspettato, ci verrebbe da dire, se consideriamo
come sovente siano anche le persone più brillanti e preparate a sentirsi
inadeguate.
L’argomento apre comunque mille interrogativi e può
essere analizzato secondo diverse sfaccettature. Sarebbe molto
suggestivo, per esempio, cercare di capire perché si insinuano forme di
autoconsapevolezza non corrette nella mente di tante persone, cosa ne
spinga altre a sovrastimarsi e via dicendo. Tanti libri di psicologia
insegnano a raggiungere un’adeguata autostima, al fine, immaginiamo, di
trarre forza e fiducia per affrontare qualunque situazione della vita,
anche a prescindere, naturalmente, dal mero aspetto lavorativo o
scolastico. Puntare sui propri aspetti “forti” riconoscendo d’altra
parte la presenza di certi limiti può costituire un atteggiamento giusto
nel processo di autoconsapevolezza. Anche se, è giusto sottolinearlo, a
volte il discorso si fa ancora più complesso, perché può capitare che
quelli considerati inizialmente limiti ostici da superare possano poi
risultare non invincibili, grazie magari a creatività, esercizio e
dedizione. Abbiamo esempi di sportivi che riescono a regalare grandi
emozioni proprio perché sono riusciti nella loro attività nonostante
limiti fisici importanti. In questo senso, un “vedere oltre” l’oggettiva
limitatezza appare come uno strumento salvifico e atto a stimolare
prestazioni valide, di forte impatto emozionale. Un altro suggerimento
che verrebbe da proporci, pur nella sua apparente banalità, consiste nel
valutare e attribuire una certa importanza anche ai “fatti”, e non solo
a stime tutte personali, a volte foriere di inganni fuorvianti.
Ritornando all’esempio scuola, se in tutti i compiti e in ogni
interrogazione prendo 8, 9 o addirittura 10, devo ammettere che una
qualche capacità la possiedo e fare pace con questa realtà. Si stanno
sbagliando tutti i professori? Mi hanno tutti sovrastimato? I compiti
assegnatomi erano tutti troppo facili? E’ irrazionale pensarlo, bisogna
in qualche modo diventarne coscienti.
Ci impegneremo comunque a
cercare altro materiale sull’argomento, perché merita davvero un giusto
approfondimento. Vedremo eventualmente di informarvene in future
newsletter. La preoccupazione più consistente da questo discorso è forse
quella di comprendere come uscire dalla “sindrome dell’impostore”,
affinché splendide qualità personali non vengano limitate o addirittura
rimosse nella loro espressione. Le virtù di ciascuno sono utili a se
stessi ma anche alla società, e il pensare di non possederle realmente
può essere (questo si!) un limite forte, contro cui combattere.