Come riportare l’attenzione dei giovani alle origini del tessuto della Costituzione che ha impresso la forma dell’attuale Repubblica italiana quando i testimoni della lotta partigiana sono al più deceduti , e a scuola lo studio del Novecento è toccato appena?
Quando non esiste una memoria condivisa dei fatti( divisioni ideologiche, guerra fredda, diverse storie familiari, e altro non l’hanno consentito), come farsi un’idea di ciò che ha rappresentato la Resistenza al nazifascismo e come sia nato l’ abbozzo di un primo autogoverno nel bel mezzo di un conflitto mondiale?
Naturalmente con una vacanza-studio dedicata all’approfondimento del ‘900 e alla cittadinanza responsabile: HISTORY CAMP 2.0
Dalle Repubbliche partigiane alla Repubblica italiana
C’è chi d’estate va al mare o ai monti e chi va a studiare e visitare i luoghi della Repubblica di Montefiorino. Personalmente non pensavo potesse avere successo una simile proposta, ma invitata a condividere un momento conviviale da una persona partecipante che stimo, mi sono dovuta ricredere.
Ragazze e ragazzi provenienti da diverse regioni hanno condiviso questa esperienza promossa da A.N.P.I. Di Modena e Reggio Emilia avvalendosi della competenza degli istituti storici delle due città, organizzato da ARCI , con il contributo dei Comuni di Montefiorino e di Palagano, Provincia e Regione. Conferenze, esercitazioni, laboratori, dibattiti e incontri si alternavano a brevi escursioni nei luoghi della memoria della zona libera di Montefiorino, nonché a due concerti serali aperti al pubblico; tutto questo nell’arco di quattro giorni, dal 21 al 25 agosto.
Il 26 gennaio 1955 Piero Calamandrei parla a studenti milanesi e si raccomanda che vadano in pellegrinaggio nei luoghi dove è nata la Costituzione,:”andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità,andate lì o giovani, perchè lì è nata la nostra Costituzione.”
Bene, quando l’ultimo giorno i partecipanti hanno relazionato della personale esperienza, diversi hanno attestato di essersi messi emotivamente e drammaticamente in contatto coi protagonisti di quella lotta di liberazione calcando i luoghi degli avvenimenti in oggetto. Certo l’approfondimento critico da parte di storici professionisti con l’ausilio di sussidi didattici e la ricostruzione storica avviata tramite ricerca individuale coi supporti tecnologici del museo di Montefiorino hanno evitato banalizzazioni e retoriche enfatizzazioni di parte. Ho trovato in proposito particolarmente toccanti ed efficaci per entrare nel clima storico gli interventi attoriali che attraverso l’ascolto in cuffia restituiscono al visitatore il pathos di alcuni protagonisti maschili e femminili della resistenza.,tramite loro testimonianze.
Gli scatti fotografici, invece, paiono più falsi della finzione, perchè le foto di repertorio sono in posa, riprendono la gioventù dei partecipanti,questo sì, la contentezza di fare la storia, la speranza di fare meglio. La speranza, quella evidenziata da una studente col “nome di battaglia “elicriso, che ha lamentato il fatto che ai giovani attuali sia stato tolta la speranza in un futuro.
Io credo che noi non riusciamo neppure a immaginare cosa sia la fame (tranne le anoressiche), la povertà della gente che usciva da due guerre. Quando tempo fa , abitando in montagna, ho provato a raccogliere interviste per un percorso di formazione civica ispirato ai fatti correlati alla battaglia del monte Penna dell’aprile del ’44, ho rilevato che i testimoni per prima cosa lamentavano che tedeschi e partigiani, tutti portavano via quel poco che avevano da mangiare. Poi certo c’era anche il senso di aiuto , ma il bisogno innanzi tutto di uscire da quello stato di indigenza che è degradante.
Dico questo perchè se coloro che han fatto la repubblica han perso per strada certi valori di trasparenza e di giustizia sociale venendo un po’ troppo a patti col capitalismo che depreda le risorse naturali, anche quelle per le future generazioni impoverendo popolazioni con scarso senso della proprietà privata , l’han fatto desiderando finalmente un po’ di benessere.
Mi perdonerete la sintesi un po’ azzardata, ma è dovuto alla mia sindrome illogica poiché sono pazza, pazza ma non pericolosa in quanto amo il mondo e lo vorrei salvare, quest è il mio delirio onnipotente. Ad ogni modo il globo ci sta restituendo i frutti delle razzie dell’uomo bianco: immigrazioni inarrestabili per guerre scatenate dalla nostra voracità di materie prime e per i cambiamenti climatici perchè crediamo in una crescita ad libitum. Simone Weil lo diceva nel ’39: chi vuol convincere che i privilegi di cui godono in pochi sono estensibili a tutti mente, si può promettere una povertà dignitosa per tutti, ma questo chi lo può scrivere su un programma elettorale?
Infatti lei era contro anche i partiti che finiscono sempre per fare il loro interesse particolare. Allora? Ci vogliono comunità che si autorganizzano dal basso, come le società che consideriamo incivili, che mettono i beni in comune, perdono tanto tempo a parlare per accordarsi , poi fan festa.
Simone W. affermava che il proletariato dovesse mantenere uno spirito francescano per non corrompersi con l’idolatria del denaro e del prestigio , prestigio che per uno stato è dato dalla ricchezza, ma soprattutto dalla potenza militare che misura la propria forza.
La Forza, ecco, siamo arrivati al cuore di ciò che ha sedotto finora l’essere umano. Quindi giungo a un pensiero che mi coinvolge integralmente e che è stato sottolineato da una insegnante di Bari partecipante al seminario come discente di nome Maddalena, la quale ha indicato una via alternativa alla violenza che ha segnato il cammino umano in epoca storica; lei ha ravvisato nel comportamento di Norma Barbolini comandante di brigata, che sostituisce il fratello gravemente ferito, un modello per tutti perchè , pur compiendo il suo dovere, riesce a trascinare e a portare verso espressioni più pacate lo spirito di rivalsa istintiva che animava molti dei suoi compagni. Maddalena , rialacciandosi a conflitti recenti avvenuti in Liberia , ha portato l’attenzione dell’uditorio su Leymah Gbowee insignita nel 2011 del premio Nobel per la pace assieme alla presidente del suo paese Ellen Johnson Sirleaf per la lunga lotta nonviolenta compiuta assieme a tante donne per fermare una guerra civile che si protraeva da più di 13 anni. Insieme hanno creato una rete di donne cristiane e musulmane , le donne in bianco, che attraverso sit-in , preghiere, sciopero del sesso, tante azioni svolte collettivamente, sono riuscite a condizionare gli eventi verso una pacificazione e una riconciliazione. Per ottenere l’insperabile han dovuto attingere al loro senso di coesione e di fiducia che è la vera forza a nascere dall’amore per la vita di tutti e il disgusto verso la violenza.
Dice Leymah:”Conoscevamo la paura e la stanchezza e la rabbia delle donne della Liberia e abbiamo cercato di utilizzare quei sentimenti per farne un movimento costruttivo. La pace non è per forza la parte vincente, ma l’unica per la quale valga la pena perdere.”
Tawakkul Karman, yemenita, ha addirittura sfidato non il dittatore di un piccolo stato africano, bensì l’impero americano stesso scrivendo sul New York times che sono le agenzie antiterrorismo statunitensi e l‘Arabia saudita a controllare il governo yemenita e a mantenere lo status quo contro le proteste delle donne e degli studenti.La democrazia nello Yemen ,secondo la giornalista Karman, dipenderà dalla politica estera statunitense e invita i funzionari americani a sostenere i leaders del movimento democratico yemenita per i diritti umani piuttosto che il vecchio regime più sanguinario dei terroristi. Eravamo nel 2011, ora siamo al 2017 e c’è ancora guerra in quei paesi, dovremmo concludere che la lotta nonviolenta sia inutile? No, come dice Leymah :”La pace è un processo, non è un evento.(…) Credo che le donne che vivono i conflitti troveranno strumenti utili e strategie per porre fine alla violenza. E’ solo questione di tempo.”
Questa persuasione può derivare solo da un senso di sacralità della vita e di responsabilità che comporta il custodirla ; quindi non si tratta di valori astratti , ideologici, ma di riconoscere il fondo essenziale di bene presente in ogni essere che nasce e rispettarlo cercando di capire come tutto sia collegato nell’Infinito.
Molti ragazzi han espresso entusiasmo per tutti quei casi nel mondo in cui “si imbracciano le armi”per difendere un popolo da un’occupazione straniera o per difendere dei diritti sacrosanti ispirandosi ai valori dell’antifascismo. Attenzione , imbracciare le armi è già una sconfitta, e come donna che ha condotto molte battaglie civili e culturali e politiche ed è partecipe dell’unica rivoluzione riuscita senza colpo ferire, mi riferisco a quella femminile, non mi sento rappresentata dal modello delle guerrigliere curde, pur rispettandole. Le donne non devono conquistare il potere, già lo hanno , ed è quello di creare, devono solo valorizzarsi e insegnare a collaborare piuttosto che competere, abbiamo già inventato l’agricoltura che altro ? Dobbiamo imparare il mestiere delle armi?No grazie, continuiamo a tessere i fili e le storie degli amori come facevano le nostre antenate.
Rileggendo le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana ho rilevato il ricorrere di una invocazione delle vittime a quelli che restano: di studiare. Infatti la pace si impara, ancor più che la guerra , per la quale esistono tante accademie. Allora ben venga l’History Camp , ma nella prossima edizione mi aspetto , se mi è concesso esprimere un auspicio, che ci sia un approfondimento delle esperienze di lotta nonviolenta espresse da popolazioni in Europa e nel Mondo.
L.F.