Ciao a tutti e benvenuti all’appuntamento settimanale con la nostra newsletter. La settimana scorsa, come mi auguro ricorderete, abbiamo parlato della tendenza che sovente abbiamo di giudicare la vita sociale degli altri migliore della nostra. In generale, poi, si potrebbe affermare che spesso gli altri, ad un primo acchito, ci paiono più brillanti e felici, pur nella consapevolezza, più o meno avvertita consciamente, che i nostri pensieri in questo senso non sono razionalmente corretti. Ho scritto questa breve premessa proprio per sottolineare come, forse più spesso di quanto possiamo credere, le nostre prime impressioni e i nostri primi giudizi sugli altri e su noi stessi possano in qualche modo non corrispondere alla realtà. Ho cercato questa settimana articoli e informazioni che potessero modificare mie credenze consolidate nel tempo, proprio nell’intento di verificare ancora una volta la complessità della realtà e le sue infinite sfaccettature.Vi faccio un esempio: ho sempre pensato che il lavoro indefesso, portato avanti con una concentrazione assoluta protratta per lungo tempo, senza inutili distrazioni o fuorvianti divagazioni, fosse un mezzo vincente e, tutto sommato, il modo migliore per arrivare a risultati considerevoli nella vita. Anche se nei fatti difficilmente sono riuscito (e riesco tutt’ora) a concentrarmi ininterrottamente per ore ed ore, ho sempre invidiato chi, nello studio come nel lavoro, riesca a realizzare performance di questo tipo. Beninteso, non dico che ritenessi altre modalità di lavoro fallimentari o poco auspicabili (tutt’altro), ma, sotto sotto, la mia ammirazione per le prestazioni più “toste” è sempre stata considerevole. Ebbene, ma siamo proprio sicuri che tanto lavoro ininterrotto sia poi così produttivo? E se invece pause e una giusta quantità di distrazioni fossero preferibili, oltre che, oggettivamente, più piacevoli?Sembra proprio infatti che in realtà sia così. E’ quanto si evince da un articolo letto su “Huffpost” scritto da Veronica Mazza e che, da questo punto di vista, mi è sembrato particolarmente illuminante. Le riflessioni della giornalista traggono spunto da un libro genialmente intitolato “Il potere del cazzeggio”, scritto dal neuropsichiatra Sriny Pillay. In buona sostanza l’autore afferma quanto sia importante alternare concentrazione e cazzeggio per potenziare tante nostre capacità, poichè trovando una routine che contempli i due aspetti è possibile migliorare considerevolmente la propria efficienza, produttività e creatività nel pensare e risolvere i problemi. Secondo una prospettiva più generale, sarebbe proprio tale alternanza, secondo Pillay, ad aiutarci in definitiva a raggiungere la felicità. Tutto ciò, è bene sottolinearlo, non è solo frutto di un’intuizione dettata magari dall’esperienza, ma è suffragata da dati scientifici molto interessanti. Spiega l’autore del libro che la divagazione consente il rilassamento del cervello grazie ad una limitazione dell’attività dell’amigdala, in modo tale che esso possa ricaricarsi ed essere, al bisogno, maggiormente creativo. Ma non solo: nel testo suddetto vengono elencate altre parti del cervello che in qualche maniera vengono “influenzate” dai momenti di disattenzione, e che concorrono a migliorare le nostre prestazioni. Stando a quanto scritto da Pillay e suggerito dall’autrice dell’articolo, il segreto consiste nell’arrivare alla definizione di un personale ritmo cognitivo, che alterni e combini momenti di attenzione e di disattenzione. Questo è possibile attraverso cinque consigli, tratti direttamente dal lavoro di Pilay.Innanzitutto sembra essere molto importante schiacciare ogni tanto dei rigeneranti pisolini. Questo per sfruttare le straordinarie magie creative del nostro inconscio. Sognare viene considerato come il mezzo ideale per rielaborare i nostri ricordi e godere della nostra massima potenzialità mentale. Può essere molto utile anche solo solo sonnecchiare, ad esempio. Attuali studi dimostrano inoltre quanto possa essere utile dialogare con se stessi, anche nella prospettiva di una riduzione dello stress. Questa dovrebbe diventare proprio un’abitudine, al fine di usufruire di un promemoria automatico che aiuti un po’ a fare il punto della situazione. Un altro suggerimento importante consiste, ad esempio, nel camminare all’aperto, magari non percorrendo un tragitto fisso e muovendosi in modo molto fluido, potenziando in questo modo idee creative, ma anche elasticità mentale e capacità di associazione. E’ importante anche, ogni tanto, assumere per gioco un’altra identità, senza per forza bisogno di travestirsi, ma semplicemente cercando di identificarsi in un nuovo ruolo, in modo da abituarsi a pensare fuori da schemi precostituiti e veder sorgere conseguentemente idee originali. Quinto e ultimo consiglio: imparare a fantasticare in modo organizzato, cercando proprio di pianificare divagazioni e sogni ad occhi aperti. Questo non farà altro che renderci più sensibili e curiosi e maggiormente in grado di vivere nuove idee e sensazioni.Insomma, mi viene da dire, il libro preso in esame mi sembra fondamentalmente anche un invito ad una maggiore scioltezza e libertà, che non vuole significare assolutamente mancanza di disciplina, ma costruttivo invito a ritagliarsi rigeneranti e godibili momenti per se stessi. Forse alcuni già applicano i suggerimenti suddetti, ma certamente in una società un pochino ossessionata dal lavoro continuo e stressante , il testo in esame può essere molto utile. A tal proposito, ultimamente c’è chi si lamenta della lunghezza a volte esagerata delle mie newsleter. Invitandovi a prendere comunque piccole pause durante la loro lettura, vedrò in futuro di migliorare anche questo aspetto.