Ciao a tutti e ben ritrovati all’appuntamento settimanale con la nostra newsletter. Questa settimana mi piacerebbe parlarvi di un sentimento molto importante e particolare, che caratterizza, o ha caratterizzato, alcuni momenti o periodi della vita di ciascuno di noi: la vergogna. Già il nominarne la parola mette un poco di angoscia, soprattutto perchè ci tornano alla mente le sensazioni di profondo imbarazzo e disagio ad essa correlata. La vergogna possiede tante sfaccettature, può emergere durante un numero infinito di circostanze, e, spesso e volentieri, assume una connotazione decisamente soggettiva: una data situazione può infatti provocare vergogna in una persona ma lasciare pressoché indifferente un’altra. Ma non solo! Uno dei fenomeni più curiosi al riguardo è che, mentre in determinati casi il sentimento della vergogna è per così dire ” giustificato” ( conseguente, per esempio, ad un errore commesso, ad un rimprovero imbarazzante subito o, più in generale, ad una brutta figura in pubblico), in altri contesti appare assolutamente irrazionale: c’è chi si vergogna a mangiare in pubblico, ad esternare i propri sentimenti, o,addirittura, ad ” essere buono”. Si, perchè può capitare anche questo, che in un mondo fortemente competitivo, ove sentimenti e comportamenti “dolci” possono essere scambiati, soprattutto negli uomini, per manifestazioni di debolezza, atteggiamenti altruistici, improntati ad una generale onestà e bontà d’animo, possano fortemente imbarazzare chi li mette in atto, in una situazione che diventa quindi paradossale, Lo stesso ” chiedere scusa” può diventare per alcuni un vero e proprio problema, nonostante la forte esigenza dell’animo di esprimersi in questo senso.
Mi preme parlare della vergogna soprattutto alla luce di un recente articolo dell’ Huffington Post, scritto da Ilaria Betti e tutto dedicato a questa tematica. L’autrice racconta le conclusioni a cui è giunto lo psicoterapeuta Joseph Burgo nel suo libro ” Shame: Free Yourself and Find Joy, and Build True Self-Esteem”, che verrà pubblicato nel novembre del 2018. Burgo attribuisce un’enorme importanza a tale imbarazzante sentimento, affermando con convinzione quanto esso sia fondamentale nelle nostre esistenze, anche se in fondo noi non ce ne accorgiamo realmente, continuando a conviverci senza sostanzialmente carpirne il valore effettivo e senza valutarlo come una vera risorsa della nostra psicologia. Di qui l’esigenza, sottolineata dall’autore, di saper gestire la propria vergogna, perchè essa comunque inevitabilmente riguarda la nostra quotidianità, e le modalità con cui dobbiamo rapportarci ad essa formerà il nostro carattere. Apprendere come convivere con l’imbarazzo provocato da alcune situazioni significa, sottolinea Burgo, accettare se stessi. Nel libro in esame vengono anche indicati quattro differenti tipi di vergogna, che ognuno ha sperimentato o sperimenterà nel corso della sua vita. Si parla quindi del sentimento di umiliazione provato dal non essere corrisposti in campo sentimentale, che non riguarda soltanto gli adulti, ma anche, nella prospettiva di un amore non corrisposto, i bambini piccoli a cui viene a mancare un’effettiva empatia da parte della madre ( vergogna basica). Una situazione di vergogna può essere rappresentata anche da un’esposizione non voluta, come può esserlo essere costretti a parlare in pubblico, ad esempio. Determinante e altamente a rischio, in questo senso, può essere anche il disattendere le aspettative, fallire in un obiettivo che ci si era prefissati, magari nel mondo del lavoro, ma non solo. Ultima categoria è determinata da una situazione di esclusione, che può essere vissuta nel momento in cui il nostro innato desiderio di piacere agli altri e di farci accettare viene compromesso da una concreta emarginazione.
Burgo enfatizza sicuramente alcuni aspetti importanti sull’argomento, ma, aldilà delle sue interessanti considerazioni, mi premeva indicarvi alcune mie personali opinioni sul tema ( m’improvviso psicologo, ma tant’è). Personalmente ritengo responsabile dei più diffusi sentimenti di vergogna il peso troppo elevato che si attribuisce al giudizio degli altri su di noi, rendendoci a volte schiavi di ciò che si vuole apparire e non pienamente consapevoli di quello che si è nella sostanza più intima. Inseguire falsi modelli, come avevo sottolineato anche in una delle newsletter precedenti, non può che allontanare dalla propria genuina identità, producendo una sorta di effetto boomerang che ci rende succubi dell’opinione altrui e anche, ritengo, più deboli innanzi alle difficoltà esterne, inevitabili per tutti. E’ vero che il desiderio di piacere agli altri è insito nell’essere umano, ma solo restando se stessi e portando a compimento la propria singolare originalità è realmente possibile fare breccia nel cuore degli altri, sempre consapevoli del fatto che non si può piacere a tutti e che le grandi personalità possono anche stimolare antipatie o, quantomeno, non un pieno consenso. Altra cosa per me fondamentale: non evitare! Come diceva una canzone della Carrà :” Meglio un capitombolo che non provarci mai”. E’ un po come i discorsi che si fanno sulle fobie e le paure irrazionali, bisogna cercare di esporsi, magari gradualmente, a ciò che si teme, per fortificare il carattere e superare le proprie debolezze. Tutto ciò, nel caso specifico della vergogna, cercando di non drammatizzare le previsioni dell’evento temuto, cadendo così in una sorta di ansia anticipatoria ancora più dannosa, ma esercitando un pensiero positivo che in questi casi penso possa essere davvero proficuo. Libri su come coltivare un atteggiamento mentale di questo tipo ce ne sono a bizzeffe, come non mancano testi che insegnano, ad esempio, a migliorare le proprie prestazioni, spesso fonti di stress nonchè, pensate al classico ” parlare in pubblico”, ansia e imbarazzo. La stessa mindfulness, oggi tanto apprezzata, può essere molto utile da questo punto di vista. Ultimo ma non ultimo: accettate la possibilità di sbagliare! L’uomo, in quanto uomo, in quanto essere umano, sbaglia, e questo in molti casi non rappresenta un tragico problema. Anzi, in alcuni contesti, la mancanza di perfezione può essere valutata addirittura come un fattore tutto sommato piacevole, attraente. Forse è vero, i robot non fanno errori e non provano vergogna, ma…vorreste forse essere delle macchine? Anche questa newsletter non sarà perfetta, devo forse vergognarmene o esserne imbarazzato? Ciao a tutti e alla prossima, con coraggio e anche, perchè no, un poco di sfacciataggine!