Ciao a tutti e benvenuti all’appuntamento settimanale con la nostra newsletter. Come avrete ultimamente letto su molti giornali, stiamo assistendo a sempre più numerosi episodi di bullismo. Al di là del giudizio morale che ciascuno di noi può attribuire a questo fenomeno, è indubbio che dobbiamo fare i conti con un surplus di violenza perpetuata dai nostri giovani. E’ anche vero che, in questa epoca digitale in cui lo smartphone fa da protagonista, permettendo la facile registrazione-video di queste scene, la nostra presa di coscienza aumenta sempre più rispetto a questi episodi, che probabilmente comunque esistevano anche in passato. Il bullismo è spesso esercitato nei confronti dei propri compagni di scuola (solitamente i più deboli o per qualche motivo “diversi”) ma, come dimostrano gli ultimi fatti di cronaca, anche verso i professori. E’ abbastanza destabilizzante constatare quanto i giovani possono essere violenti con gli adulti (in questo caso gli insegnanti), ed è addirittura drammatico sapere che spesso lo sono nei confronti dei propri genitori. Va bene lo scontro generazionale, è comprensibile la differenza di vedute ed opinioni, ma l’aggressività spesso violenta e tutto sommato ingiustificata non può essere accettata da ciascuno di noi e dalla società.
Ma a proposito degli adolescenti violenti contro i propri genitori, ci sembra opportuno riferirvi per sommi capi quanto abbiamo letto in un articolo di “State of Mind” che analizza proprio questo discorso, cercando di delinearne le cause e, in modo particolare, le possibili soluzioni per prevenire e risolvere tale problematica. Innanzitutto bisogna sottolineare il fatto che queste forme di aggressività siano state studiate scientificamente solo di recente, concentrandosi per molto tempo su altri tipi di violenza privata. Miriam Melani, l’autrice dell’articolo, evidenzia quali siano i fattori di rischio più comuni che in qualche modo favoriscono la formazione di atteggiamenti violenti nel periodo adolescenziale, comportamenti rivolti ai genitori ma non solo. Tra questi ritroviamo, ad esempio, una forma di educazione caratterizzata da punizioni corporee e da denigrazione, numerosi litigi, magari anche violenti, tra i genitori, una bassa condizione economica della famiglia, tratti temperamentali e, fattore davvero molto interessante, complesso edipico non superato. In pratica, ci verrebbe da dire, si riscontra, sulla base anche solo di questo elenco, il solito rapporto natura-cultura di cui abbiamo parlato anche in altre occasioni, e che sembra condizionare spesso e volentieri la formazione dei nostri comportamenti. E’ difficile, infatti, comprendere con sicurezza quali siano le cause più profonde delle nostre condotte e dei nostri fenomeni psichici, senza fare riferimento a un rapporto dialettico fra tratti caratteriali per lo più innati (comprese quindi tendenze aggressive) e influenze potenti da parte dell’ambiente, inteso in senso lato, e comprensivo quindi di tutto ciò che ci accade, delle nostre esperienze. Sulla base di alcuni studi longitudinali, è stato infatti appurato che lo sviluppo di atteggiamenti violenti è sempre determinato non da un unico fattore di rischio, ma da una combinazioni di cause. Dobbiamo sempre ricordare, tra le altre cose, quanto l’età adolescenziale sia complessa per molti, proprio perchè rappresenta sostanzialmente un periodo di passaggio verso l’età adulta. E’ proprio durante questi anni che muta profondamente il rapporto con il proprio corpo e, conseguentemente, la relazione con se stessi e con gli altri. Nell’articolo a cui oggi ci siamo ispirati, viene sottolineato il ruolo centrale del complesso edipico. Non è questa la sede per descrivere in modo dettagliato che cosa esso sia e come influenzi la nostra crescita. E’ importante però sapere, a livello molto generale, che il periodo edipico (vissuto durante l’infanzia) è fondato su una rivalità, per lo più inconscia, con il genitore dello stesso sesso e da un desiderio erotico verso l’altro genitore. Il periodo edipico, se non convenientemente vissuto e superato, può diventare un fattore di rischio per la formazione di una aggressività impropria. Tra le altre cause più importanti del fenomeno va sicuramente indicato, come il buon senso ci permetterebbe di intuire, il grande bisogno di libertà degli adolescenti, apparentemente compromesso dalle restrizioni che il ruolo genitoriale porta inevitabilmente con sè. A questo proposito diventa assolutamente fondamentale anche il modo in cui si svolge la comunicazione all’interno dello stesso nucleo familiare, considerando il fatto che sovente i ragazzi violenti o quanto meno arrabbiati (la rabbia repressa è tipica di quell’età) trovano difficoltoso comunicare in modo adeguato sentimenti, pensieri ed emozioni ai loro genitori. Il non detto può caratterizzare un modo di comunicare patologico, a sua volta fattore che incrementa problemi affettivi e la loro espressione.
Quali possono essere le soluzioni idonee a questo tipi di problemi? Naturalmente ci sentiamo di dire che il fenomeno è talmente complesso che risulta difficile pensare a delle soluzioni pratiche immediate o, quanto meno, a breve termine. Miriam Melani, però, indica nel suo articolo due tipi di interventi terapeutici molto efficaci: quello sistemico-familiare e il colloquio motivazionale. La prima forma di terapia ha lo scopo di stimolare sia i figli che i genitori a migliorare le loro forme comunicative basate sull’ascolto reciproco e sull’espressività emozionale ma anche, fatto secondo noi fondamentale, sulla considerazione dei vari punti di vista, che devono essere accettati e compresi. Il secondo trattamento vuole sostanzialmente far sì che i ragazzi adolescenti adottino uno stile di vita più salutare e soddisfacente, concentrandosi in modo particolare sulle loro potenzialità e capacità cognitive ed emozionali. In pratica i giovani verrebbero in qualche modo spronati ad una maggiore consapevolezza sulle proprie decisioni, scelte e azioni, magari ipotizzando forme di comportamento alternativo che possano rappresentare atteggiamenti migliori per il proprio benessere e quello altrui. Naturalmente, sarebbe quasi inutile sottolinearlo, questo tipo di intervento terapeutico viene ottimizzato quando anche la famiglia dell’adolescente è coinvolta.
Ci sentiamo di dire che alla base di ogni possibile intervento teso ad un’armonizzazione dei rapporti familiari e ad una auspicabile eliminazione di ogni atteggiamento aggressivo, si impone l’attenzione alle dinamiche comunicative tra i membri del nucleo familiare. Questo è molto difficile proprio perchè, come si può intuire conoscendo i giovani ed avendo esperienze con loro, accanto magari ad atteggiamenti esteriori particolarmente appariscenti e in apparenza duri, si nascondono anime fragili, in parte inconsapevoli della loro identità (anche perchè questa è soggetta a cambiamenti abbastanza sorprendenti), e per questo motivo sensibili e timidi, soprattutto quando si tratta di esporre emozioni e stati d’animo che sembrano sfuggire al loro stesso controllo. Anni fa molti sostenevano l’importanza del genitore-amico, mentre oggi questa terminologia viene per lo più criticata, in quanto si tende a sottolineare il fatto che il genitore debba esserlo a tutti gli effetti, con una buona dose di autorevolezza e, in determinati casi, di severità. Probabilmente è giusto evitare radicalizzazioni dall’una e dall’altra parte, nel senso che un genitore non deve abbassarsi al ruolo di semplice amico del figlio, ma, pur mantenendo una sua dominanza e un suo rigore, può aprirsi all’ascolto confidenziale dei suoi problemi. Sta anche all’adulto, in questo caso, armonizzare tali aspetti del suo ruolo e dare così l’impressione all’adolescente di poter riporre la sua fiducia incondizionata verso una figura di riferimento così importante.