Ciao a tutti e ben ritrovati all’appuntamento con la nostra newsletter. Causa vacanze di Pasqua è da un pò che non rinnoviamo il nostro consueto appuntamento settimanale, speriamo non abbiate sentito troppo la nostra mancanza. Oggi ci piacerebbe affrontare con voi un argomento che negli ultimi anni sta riscuotendo molto successo, ovvero la mindfulness, di cui, tra l’altro, vi abbiamo anche accennato in una delle nostre trasmissioni radiofoniche.Su questa particolare forma di terapia basata sulla meditazione esistono varie pubblicazioni, alcune per principianti, altre più specialistiche e più approfondite. Ma ci sembra giusto sottolineare, per chi ancora non conoscesse l’argomento, di cosa effettivamente si parla quando nominiamo la mindfulness. Potremmo definirla come una forma di meditazione messa in pratica per condurre il soggetto ad una maggiore attenzione nei confronti del presente, esercitandolo ad una più forte autoconsapevolezza e autocontrollo.Naturalmente, come si può facilmente immaginare, questa forma di meditazione deve molto alle influenze del buddismo, anche se in questo caso manca la componente più propriamente religiosa.Ci sembra giusto affrontare questa tematica perchè, sopratutto nei ultimi tempi, la mindfulness viene utilizzata in ambito clinico ed è rivolta, in particolare, a persone sofferenti di disagio psichico. Uno dei suoi nuclei centrali consiste nella sua facoltà di ridurre l’atteggiamento giudicante che l’individuo tende ad esercitare su di sè, dando sovente origine ad un meccanismo di autoaccusa destinato a peggiorare le sue già a volte complesse condizioni psicologiche. In qualche modo tutto questo ci rammenterebbe le tecniche del training autogeno, anche se probabilmente si tratta di due forme terapiche per vari aspetti diverse.L’aspetto intrigante che ci preme sottolineare in questa sede è come la meditazione più in generale possa variare la funzione delle stesse strutture celebrali, modificando di fatto alcune dinamiche mentali in qualche modo disfunzionali rispetto ad una nostra piena serenità e soddisfazione. A questo proposito ci è sembrato molto interessante un articolo pubblicato sulla rivista PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, scritto dalla psicologa e psicoterapeuta Silvia Faggian e dallo psichiatra e gastroenterologo Mauro Cibin. Partendo dal presupposto che il nostro cervello è plastico (si può modificare strutturalmente e funzionalmente in seguito all’esperienza), i due autori, facendo riferimento agli studi sulle aree interessate durante la meditazione (ricerche eseguite tramite le neuroimmagini), scrivono che la zona più coinvolta nella meditazione è quella connessa alla corteccia prefrontale e alle sue connessioni sottocorticali, area importantissima perchè decisiva per molte azioni di controllo sui pensieri, ma anche sulle emozioni e sulle capacità cognitive.Semplificando un poco il discorso, sembra che la meditazione abbia conseguenze su questi meccanismi, attraverso una riduzione dell’ attenzione rivolta agli stimoli emotivi inviati da alcune strutture sottocorticali e accrescendo invece la focalizzazione sugli stimoli esterni, con il benefico effetto di un’alleggerimento emotivo dei nostri processi mentali e una maggiore attenzione sugli input esterni. Grazie a tutto ciò si assiste ad una maggiore facoltà di autoregolazione e di effettiva possibilità di vagare meno coi propri pensieri. L’articolo suddetto continua esplicando in maniera approfondita ulteriori meccanismi del cervello influenzati dalle tecniche meditative, ma quello che ci preme sottolineare, proprio sulla base della sua lettura, è il senso di speranza (anzi,di matematica certezza) che, con l’impegno e le metodologie più appropriate, il nostro cervello può cambiare, e con esso tutti quei pensieri ossessivi, depressivi e di rimuginio che spesso rendono difficoltosa un’ esistenza felice. Per alcuni questa potrebbe sembrare una notizia banale, ma non lo è affatto se pensiamo a quante volte, magari scoraggiati da uno stato emotivo avvilito e turbato, ci viene spontaneo pensare che la nostra mente funzioni in quel solo ed unico modo, senza possibilità di appello, subendo una condizione psicologica difficile con una nociva rassegnazione, quasi fosse una condanna. No, i cambiamenti sono possibili, a patto naturalmente di impegnarsi in modo attivo con le pratiche terapiche più giuste. In questo senso i vantaggi della mindfulnes sono numerosi: oltre la già citata forte autoconsapevolezza, si assiste ad un maggior benessere generale, ad un incremento della propria forza di volontà e ad una più funzionale capacità di adattamento, nonchè ad un miglioramento nella facoltà di sopportare lo stress. Forse è proprio per questo motivo che molti terapisti oggi insegnano questa pratica di meditazione, alla quale, visti i risultati che si prospettano, bisogna dedicarsi con fiducia e interesse. Naturalmente, anche in questo caso è necessario un impegno serio, per ottenere risultati significativi.Sono fondamentali la continuità e l’esercizio,come, d’altronde, per tutti i percorsi della vita che richiedono impegno ma promettono grandi risultati. Più in generale, come ricordato anche in altre newsletter, ci sembra utile rimarcare l’importanza di avere durante la giornata momenti “vuoti” che, se non proprio meditativi, almeno possono essere l’occasione per distaccare la mente dagli impegni più o meno pesanti della vita quotidiana. Occasioni per ascoltare musica, per contemplare un paesaggio o per leggere un libro, sforzandosi di evitare elucubrazioni e ghirigori mentali. Anche questo sicuramente aiuta e può risultare un’abitudine utile in preparazione a meditazioni più strutturate.