Oggi mi è capitato di leggere su internet un articolo che mi ha davvero emozionato. Niente di melodrammatico, per carità, soltanto il resoconto di un episodio avvenuto diversi anni fa, e le straordinarie conclusioni a cui si è stati da esso portati.
La vicenda in questione risale al 1975, e vede come protagonista una giovanissima ragazza tedesca, Vera Brandes, promoter di concerti in Germania. Vera era riuscita a convincere un teatro di Colonia ad ospitare il concerto jazz del raffinato musicista KEITH JARRET. Purtroppo, però, le cose sembrano inizialmente non andare proprio nel verso giusto. Infatti, non appena Jarret alle prove tentò di suonare qualche nota, diede ad intendere che il pianoforte messogli a disposizione non era a lui congeniale. Anzi il produttore stesso disse molto chiaramente a Vera che con quello strumento Jarret non avrebbe potuto esibirsi, in quanto il volume del suono da esso prodotto non sarebbe stato sufficiente a riempire il vasto teatro luogo dello spettacolo. Per la Brandes fu naturalmente il panico. Però non si diede affatto per vinta e , dopo aver provato inutilmente ad ottenere la sostituzione del pianoforte, tentò di convincere l’artista a suonare ugualmente. Keith Jarret accettò, e quello che accade successivamente rappresentò davvero qualcosa di entusiasmante, e, per certi aspetti, sublime.
Infatti quegli stessi elementi che si erano presentati inizialmente come ostacoli insormontabili, divennero di fatto stimolanti incentivi, che permisero al musicista di eseguire una performance indimenticabile. Jarett infatti fu molto abile, durante le prove, ad adattare in qualche modo la sua usuale maniera di suonare con le condizioni pratiche non certo ottimali con le quali si trovava a che fare. L’esibizione pianistica davanti alla platea assunse una caratterizzazione calmante e, nel contempo, piena di forza ed energia.
Tutto questo è davvero rincuorante, perchè insegna in modo esplicito come gli imprevisti e le situazioni apparentemente più difficili e problematiche possano, in buona sostanza, portare a risultati creativi addirittura eccellenti.
D’altronde, se ci riflettiamo opportunamente, l’ostacolo in sé rappresenta sempre qualcosa di “creativo”, proprio perché, a volte, è inaspettato, e impone la sua presenza durante un tran-tran che, alla lunga, potrebbe risultare noioso e vagamente pedante. Si potrebbe quasi dire che la creatività chiama creatività, in un processo di relazioni reciproche altamente produttive. Attenzione però. La storia del pianista ci insegna anche che, innanzi alle situazioni caotiche e complicate, è necessario comunque avere la ferma intenzione e la successiva capacità di superarle, impegnandosi duramente ed essendo disposti pure a mutuare il proprio modo di fare le cose e le proprie prospettive. No quindi ad atteggiamenti più o meno arrendevoli e rassegnati, nella vacua speranza che le cose si mettano a posto da sole o, eventualmente, siano risolte da terzi.
A ciascuno è richiesto, nei limiti delle sue possibilità, l’atto creativo (è il caso di dirlo) che può rigenerare una situazione difficile.
Certo, si potrebbe supporre che forse per un artista professionista questa capacità di risolvere problemi sia più naturale, ma per fortuna non è così. Tim Harford, l’autore dell’articolo, spiega come anche la psicologia cognitiva, quella sociale, e la scienza della complessità, confermino oggi abbondatemene quanto alcune tipologie di difficoltà possono migliorare notevolmente le nostre performance. Sovente è proprio una situazione un po’ confusa, o dove subentrano variabili inaspettate e casuali, a scatenare la molla della prestazione ottimale. Adirittura Harford trae esempio dal mondo del rock’n’roll, e spiega come Brian Eno, un compositore di musica ambientale che ha lavorato con molti divi della musica, ottenesse da loro il massimo letteralmente confondendoli, “disturbando i loro processi creativi”.
Ultima cosa: la registrazione del concerto di Jarett è diventata, ad ora, l’album jazz solista più venduto di sempre. Performance strepitose, quindi, ma anche molto remunerative.