Ciao a tutti e bentornati al consueto appuntamento con la nostra newsletter. Settimanalmente, come ormai vi sarete resi conto, ci piace parlare di tematiche relative alla salute mentale, a volte traendo spunto da curiosità e notizie in un certo senso “leggere”, altre volte approfondendo, seppure in maniera ci auguriamo accattivante, argomenti più complessi, che possono portare in sé anche una certa drammaticità. Il tema di oggi, ad esempio, è decisamente molto serio, perché riguarda soprusi e offese perpetuate ai danni dei nostri giovani, spesso in luoghi, come la scuola, che dovrebbero rappresentare ambienti di crescita sereni e tranquilli, in cui fortificare il senso di rispetto per le altre persone e nei quali sentirsi a sua volta rispettati dai compagni. Stiamo parlando, ovviamente, del fenomeno bullismo, probabilmente sempre esistito ma di cui si è iniziato a parlare diffusamente e in modo approfondito negli ultimi tempi. E che comunque, è bene ricordarlo, non riguarda solo i giovanissimi ma può coinvolgere anche gli adulti nel mondo del lavoro o nell’ambito famigliare.
Cercando di comprenderne un po’ di più, abbiamo individuato due articoli molto interessanti sull’argomento, entrambi pubblicati su Psiconline. Nel primo, a cura della dottoressa Arianna Patriarca, si evidenzia un fatto significativo, al quale magari in genere una persona non pensa quando valuta superficialmente il fenomeno e, soprattutto, quando purtroppo ne è diretta vittima: il bullismo non fa del male soltanto a chi lo subisce, ma anche (quasi in una sorta di legge del contrappasso, ci verrebbe da dire) a chi lo esercita nei confronti di qualcuno. Secondo uno studio attuale, infatti, sia vittime che persecutori andrebbero incontro a difficoltà importanti e sofferenze significative. Entrambi sarebbero maggiormente inclini al consumo di alcool e tabacco, lamenterebbero problemi psicosomatici e vedrebbero aumentare le possibilità di avere difficoltà con il proprio ambiente sociale. Tra l’altro (può essere utile sottolinearlo) i ricercatori della Martin Luther University Halle-Wittenberg (MLU) sono rimasti molto sorpresi nel constatare come il fenomeno e le sue deleterie conseguenze presentino pressoché le medesime dinamiche indipendentemente dalle culture e dai differenti periodi di tempo. Per il loro studio, infatti, i ricercatori hanno analizzato le risposte di ragazzi che vivevano in tre paesi diversi ( Germania, Grecia e Stati Uniti, scelte perché ritenute nazioni rispettivamente individualista, collettivista e “via di mezzo”) ed esercitando l’indagine in diversi periodi di tempo. In tutti i casi esaminati, si è evinto che circa il nove percento degli adolescenti ha subito fenomeni di bullismo.
Si è cercato di porre l’attenzione anche sui rapporti di vittime e persecutori con il loro contesto sociale, evidenziando come entrambi abbiano sostanzialmente raccontato problemi simili relativamente alle relazioni con il loro ambiente (difficoltà a parlare con gli amici, ad esempio). Le “affinità” riscontrate tra i due gruppi possono contribuire, sostiene il dott. Wolgast, ad ideare nuovi metodi di prevenzione, basati magari, si legge nell’articolo suddetto, su un miglioramento della comunicazione tra i ragazzi, al fine, evidentemente, di migliorare il clima sociale nelle aule.
Avvincente, da questo punto di vista, anche un altro articolo individuato su Psiconline , tratto da Psychology Today, le cui traduzione ed adattamento sono stati realizzati dalla dottoressa Sara D’Annibale. Si tratta di un testo ricco di spunti significativi nel delineare il fenomeno bullismo nel suo complesso. Nella fattispecie, tra le altre cose, vengono elencate e spiegate le varie forme di bullismo, alcune delle quali, è importante sottolinearlo, sono causate dall’utilizzo improprio delle nuove tecnologie. Se è vero che comunemente si pensa spesso al bullismo fisico quando si parla dell’argomento, può essere altrettanto nocivo a livello emotivo quello verbale, usato per sminuire e ferire gli altri. C’è il bullismo pregiudizievole (che può comprendere tutte le altre tipologie), quello relazionale, il Cyberbullismo (portato avanti con l’uso di Internet, cellulari e altre tecnologie) e il bullismo sessuale, caratterizzato da ripetute azioni che arrecano danno e umiliano la vittima.
Nell’articolo ci si interroga su quando ha effettivamente inizio il comportamento del bullo, specificando che esso è sovente appreso in famiglia, attraverso atteggiamenti aggressivi di genitori o fratelli maggiori. Ma il rinforzo (volontario o no) può avvenire anche dagli adulti e dal gruppo dei pari. In buona sostanza, comunque, il bullo diventa tale, generalmente, perché vittima a sua volta di abusi o perché profondamente insicuro, desideroso di sentirsi superiore attraverso una sorta di dominio sull’altro. E le conseguenze di questi atteggiamenti possono durare moltissimo tempo (anche l’intera esistenza), e, come spiegava bene anche il primo articolo menzionato, possono riguardare sia il bullo, sia la vittima. Ci sentiamo di fare nostri i suggerimenti per contrastare il fenomeno indicati nel secondo articolo, tesi, tra l’altro, ad un preventivo rendersi conto del problema e delle sue origini. In questo senso, i genitori dovrebbero aiutare i figli a gestire l’eventuale aggressività in maniera positiva. Ma il compito riguarda in realtà anche insegnanti, educatori, capi religiosi, politici e comunità terapeutiche, i cui sforzi dovrebbero convogliare verso lo sviluppo di programmi che realizzino comunità più positive, nei diversi ambiti sociali. Conclude così l’articolo “Il sostegno a progetti educativi che promuovono la tolleranza e la comunicazione aperta, così come i programmi di mentoring che forniscono modelli positivi, aiuterà anche noi e la nostra famiglia”.