Il rancore come “opportunità”? Vediamo…

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Ciao a tutti e benvenuti all’appuntamento settimanale con la nostra newsletter. Come raccontato anche durante una delle nostre trasmissioni radiofoniche, l’inizio dell’anno è caratterizzato spesso e volentieri da mille proponimenti che ci facciamo, obiettivi a volte piuttosto vaghi ma in un certo senso rassicuranti, concernenti le nostre attività, il nostro modo di rapportarci agli altri e di affrontare la vita. Allora, come primo suggerimento consiglio a tutti di evitare drasticamente atteggiamenti di questo genere innanzi all’aprirsi del nuovo anno, perchè, almeno stando alla mia esperienza personale, dopo la prima settimana di ferrea disciplina in questo senso, i tanti fantastici proponimenti vengono regolarmente dimenticati e, di conseguenza, disattesi. Ma, se proprio non riusciamo a farne a meno, propongo di pensare a piccoli obiettivi da rinnovare di volta in volta, piccoli step che possano essere raggiunti senza una grande fatica ma che, alla lunga, daranno molta soddisfazione, perchè contribuiranno al raggiungimento di grandi mete.

Comunque, tra gli scopi che ci si prefiggono con più facilità all’arrivo dei nuovi dodici mesi, penso che spesso emergano quelli relativi ai rapporti col prossimo. In quanti vorrebbero essere più disponibili nei confronti degli altri, arrabbiarsi di meno, instaurare legami amicali più profondi, o anche, nodo scottante, provare meno invidia e serbare meno rancore. A questo proposito, mi pare molto utile raccontarvi brevemente un articolo pubblicato su “Il Post” dal quale si evince un approccio piuttosto originale e costruttivo al problema (ammesso che esso venga effettivamente vissuto come tale). Perchè dobbiamo per forza considerare il rancore come qualcosa di assolutamente negativo e non, invece, come una preziosa occasione per migliorare la propria personalità?

Nell’articolo suddetto si parla infatti di un libro da poco pubblicato, intitolato Come serbare rancore (titolo già di per sè abbastanza geniale ed accattivante), la cui autrice è la scrittrice britannica Sophia Hannah. Quest’ultima suggerisce alcuni consigli importanti e a suo modo innovativi su come, fondamentalmente, riflettere in modo costruttivo su lati del carattere che in genere non ci vanno a genio, debolezze alle quali si attribuiscono solitamente attributi negativi, dei quali magari vergognarci. Ma cerchiamo di vedere alcuni di questi consigli, attraverso un lavoro realizzato da Jolie Kerr sul New York Times.

Innanzitutto, ad esempio, è bene tenere a mente che il rancore, in definitiva, più che essere un sentimento vero e proprio è una nostra storia dalla cui memoria è possibile trarre qualche beneficio. In questo senso, quindi, è giusto ricordare quella vicenda (un litigio, un’incomprensione o un incidente) che ha in qualche modo prodotto un sentimento così apparentemente negativo, proprio in quanto meccanismo di difesa per noi stessi. E’ quindi assolutamente consigliabile accettare il proprio rancore (per piccolo o grande che sia) nei confronti di una persona, lasciarsene coinvolgere, in modo da elaborarlo e trovare magari strategie pratiche per evitare che una stessa situazione si ripeta. E’ invece da evitare la rimozione di emozioni negative di questo tipo (il far finta che esse non esistano) proprio per non accumulare poi rancori su rancori, dando origine giocoforza a situazioni poi difficili da elaborare. Decisamente consigliabile risulta essere anche il mettere nero su bianco il racconto della vicenda che ha causato il risentimento, attraverso la scrittura, un mezzo che ci permette di distaccare e oggettivizzare l’evento, rendendo migliore la nostra analisi critica su esso, magari in un periodo successivo, non nell’immediato. Può essere utile, a questo punto, rivedere la propria narrazione, chiedendosi quale aspetto del proprio comportamento si vorrebbe modificare nel caso in cui si riscrivesse la storia del proprio rancore a patto di mutare solo la personale condotta. Attraverso un effettivo paragone delle due versioni (compito non facile da realizzare, ma molto importante ai fini dell’elaborazione) ci si può domandare se l’emozione negativa provata sia frutto, ad esempio, di una frustrazione o di un sentimento rabbioso conseguente al proprio comportamento. Si tratta, come è facilmente comprensibile, di una riflessione razionale su se stessi e sui propri comportamenti, abbastanza ostica da compiere, in particolar modo dopo aver subito un torto, o, quantomeno, percepire di esserne stati vittima. Ma proprio per evitare di sentirsi solo vittime della situazione, scrive Hannah, diventa importante saper controllare ed affrontare sentimenti di questo genere, trasformando i rancori in un’opportunità per acquisire la consapevolezza di essere parte attiva nel processo.

Tra l’altro, nell’articolo si cita una vera e propria ricerca scientifica sull’argomento, che sembra avvalorare le tesi e i suggerimenti di Hannah. Lo studio, pubblicato da poco, è stato realizzato dalla York University (Regno Unito), e specifica come, sebbene tra le varie reazioni ad un torto subito l’atteggiamento preferibile sia quello di perdonare l’altro (le altre due opzioni sarebbero il pensare ad una vendetta o serbare rancore), il rancore costituisca comunque un importante meccanismo di autodifesa. Dalla ricerca si possono oltretutto ricavare cinque suggerimenti per affrontare e superare un risentimento verso qualcuno. E’ importante, ad esempio, cercare di essere i primi a riconciliare, chiedendo chiarimenti e mostrandosi sempre aperti al confronto, avere consapevolezza dell’effettivo ruolo che si ha o si è avuto in quella determinata situazione, anche perchè sovente, in questi casi, ci sentiamo in una posizione inferiore rispetto all’altro e diventa veramente necessario rivalutare l’apparente nostra subordinazione. E’ consigliabile anche cercare gli elementi che ci accomunano all’altro, sciogliere il rancore al più presto per evitare di ingigantirlo col tempo e, elemento secondo me molto importante, rendersi consapevoli di quando il nostro risentimento è in realtà causato da un timore irrazionale, come quello, per riallacciarci alla scrittrice del libro citato inizialmente, che la persona possa ancora farci male.

Un consiglio che mi sento di dare personalmente è quello di evitare un’eccessiva e irrealistica categorizzazione. Se una persona, all’interno di un determinato contesto e in una specifica situazione, ha sbagliato con noi, magari offendendoci o creandoci un qualche problema, non deve essere vista come “cattiva” in assoluto, anche perchè tutti noi nascondiamo una personalità complessa, ricca di sfacettature e di aspetti caratteriali positivi magari sorprendenti, o che almeno, in quel determinato caso, non sono emersi. Spesso è necessario un ulteriore confronto e chiarimento, come sostengono anche i ricercatori inglesi, perchè capita di offendere o di fare male agli altri a volte senza rendersene pienamente conto. Poi, certo, questo non significa essere amici di tutti o illudersi che certi rapporti possano cambiare drasticamente quando sono stati caratterizzati da conflitti talmente negativi da risultare insanabili. Ricordare però sempre le proprie eventuali responsabilità, le proprie mosse sbagliate e il fatto che mondi troppo diversi a volte sono difficilmente conciliabili, può aiutare a mantenere comunque una tranquilla serenità interiore. Non bisogna piacere a tutti e non a tutti si può andare a genio, pazienza. Il rancore in sé, assolutamente umano, diventa però anche abbastanza inutile. E la vita è troppo breve per inquinarla con sentimenti negativi non necessari.