Ciao
a tutti e benvenuti al consueto appuntamento settimanale con la nostra
newsletter. Oggi desidereremmo parlarvi di un argomento che appassiona
indiscutibilmente molti di noi, forse perchè non si tratta tanto di una
tematica in un certo senso astratta e teorica, ma ha delle ripercussioni
pratiche e concrete nella nostra esistenza, nella nostra quotidianità.
Parleremo infatti di internet, degli smartphone, insomma delle nuove
tecnologie che tanto sembrano aver mutato il nostro modo di vivere. Se
non andiamo errati, avevamo già trattato l’argomento in una delle nostre
precedenti newsletter, ma ora possiamo approfondirlo (cercando comunque
di non annoiarvi) sulla base di due avvincenti articoli, individuati
spulciando su internet (ebbene si, il web, anche in questi casi, è molto
utile) e documentandoci attraverso la rivista “Psicologia
contemporanea”.
Va detto subito che internet si è rivelato uno
strumento eccezionale sotto tanti punti di vista. Gli effetti positivi
che, tanto per citare un esempio, anche solo in certi ambiti lavorativi e
di ricerca possiamo constatare sono numerosi e proficui. Internet
rappresenta una vera e propria finestra sul mondo, e il fatto di poterne
sempre disporre attraverso l’utilizzo dello smartphone dà una
sensazione di controllo e (perchè no?) di eccitazione e benessere
particolarmente piacevole. Detto questo, però, è giusto considerare
anche le dinamiche negative che possono nascere da un uso inappropriato o
eccessivo di queste nuove tecnologie, almeno per evitare dannosi
fenomeni di dipendenza.
Su “Psicologia contemporanea”, Giuseppe Riva,
ordinario di Psicologia della comunicazione all’ Università Cattolica
di Milano, spiega chiaramente cosa si intende per “disturbo di
dipendenza da internet”, definendolo come un disturbo psicofisiologico
che vede tra i suoi elementi caratterizzanti, oltre alla dipendenza, un
venire a mancare delle relazioni interpersonali, alterazioni dell’umore,
nonché, come in fondo è facile immaginare, un’alterazione del vissuto
temporale. Specifica inoltre che, stando alla letteratura
sull’argomento, esistono alcuni criteri precisi attraverso cui ravvisare
un’eventuale dipendenza. Ad esempio, possono rivelarsi campanelli
d’allarme episodi in cui la persona necessita di trascorrere sempre più
tempo nei mezzi digitali, ha cercato ripetutamente ma senza esito di
controllare o interrompere l’attività con questo tipo di media, per
utilizzare quest’ultimi ha perduto o ha rischiato di perdere occasioni
lavorative, scolastiche o una relazione interpersonale significativa, ha
iniziato a mentire agli altri (anche a persone care ed importanti) per
nascondere il grande coinvolgimento con questi mezzi ecc.
Come fare
per migliorare la propria situazione, nel caso in cui percepiamo di
essere dipendenti o ravvisiamo questa condizione in una persona a noi
cara? Un primo passo, consiglia Riva, consiste nell’aiutare il soggetto a
prendere coscienza della situazione, rendendosi consapevole, ad
esempio, della quantità di tempo effettivamente trascorsa online.
Dopodiché può essere utile individuare momenti precisi del giorno
durante i quali interrompere le varie esperienze con i media digitali.
Naturalmente, in caso di mancato miglioramento, l’aiuto di un
professionista rappresenta il mezzo più efficace per risolvere il
problema.
Fino ad ora abbiamo parlato di media digitali in generale,
ma è ovvio che fenomeni di compulsione e dipendenza sono facilitati,
come abbiamo suggerito inizialmente, dalla possibilità di avere internet
in tasca, attraverso lo smartphone. In un articolo de “Il Post” del 29
Maggio scorso si racconta di uno studio compiuto dall’Università di
Washington, finalizzato a comprendere meglio l’utilizzo compulsivo di
questo ormai irrinunciabile mezzo tecnologico. I ricercatori sostengono
che la compulsione può essere vinta, mutando tic ed abitudini, anche se
la condizione “sine qua non” rimane, naturalmente, quella di volere
seriamente raggiungere l’obiettivo. Dalla ricerca, guidata da Alexis
Hiniker e caratterizzata da una serie di interviste, si evincono alcuni
suggerimenti utili per provare a risolvere il problema. Un primo
espediente può essere quello di non controllare sempre lo smartphone nei
momenti vuoti della giornata, cercando di rendersi maggiormente
consapevoli dei momenti in cui lo si utilizza (a volte così vicini
temporalmente), per controllare la tendenza compulsiva. Per facilitare
il tutto può essere utile adottare alcuni stratagemmi, come, ad esempio,
non portarlo con sé nel caso si esca per poco tempo. Se è vero inoltre
che guardare lo smartphone spesso e volentieri ci aiuta a spezzare i
tempi di un’attività magari lunga e noiosa, è necessario porsi dei
limiti temporali, in modo da non soccombere innanzi all’immensa e
stimolante offerta di contenuti propria del mezzo. A volte, inoltre,
quest’ultimo può rappresentare una “via di fuga” in determinate
situazioni, come quando, ad esempio, magari innanzi ad una persona con
cui non si ha molta confidenza, la conversazione cade e si avverte
quindi un certo disagio. Tentare di riavviare la conversazione evitando
il rifugio nel cellulare può essere auspicabile, anche per migliorare le
proprie relazioni sociali.
L’ultimo suggerimento raccontato
nell’articolo, sulla base della ricerca presa in esame, consiste
nell’invito ad impostare, in alcuni casi, il telefono in maniera tale
che le notifiche arrivino distintamente, con un suono o con la
vibrazione. Questo perchè è esperienza comune la frenesia con cui, a
volte, controlliamo ripetutamente il cellulare, nell’attesa di una
determinata chiamata o messaggio, magari distraendoci di continuo
dall’esperienza che stiamo vivendo in quel momento. L’articolo conclude
specificando come, in ogni caso, sia fondamentale la ferma volontà di
cambiare le cose riguardo ad una propria dipendenza, evitando,
ovviamente, di adottare un atteggiamento eccessivo opposto, che verrebbe
a svilire e a non permetterci l’utilizzo delle numerose e grandi
risorse del nostro smartphone.
